Ci sono amori che durano tutta la vita, altri che si sfiorano in un battito di ciglia. E poi ci sono io, una copywriter che ha incontrato sul proprio cammino il naming e se ne è perdutamente innamorata, fino a evolversi anche in name writer.
Ogni percorso è frutto di tante esperienze, lo so, ma ci sono storie che hanno punti in comune; storie che ci avvicinano e ci parlano attraverso le emozioni vissute dagli altri. E il naming è proprio una di quelle cose che ha a che vedere con l’emotività e il cuore delle persone.
Quindi, se vuoi sapere come si diventa name writer, ti lascio le mie “confessioni”. Spero ti aiutino a dissolvere ogni dubbio e, soprattutto, a dare il “nome giusto” alle tue emozioni.
Name writer? Parliamone
Era la fine del 2018, quando nell’agenzia di comunicazione per cui lavoravo da pochi mesi, si presentano due giovani ragazzi per una consulenza. In quel periodo, ero solo un’aspirante copywriter. Una che si era conquistata quel posto di lavoro per la sua laurea in semiotica, col massimo dei voti, e un master in marketing, social media e comunicazione d’impresa. Così, ero diventata, in breve tempo, camaleontica come un Furcifer del Madagascar: passavo dal ricevere i clienti alla creazione di una copy strategy, dall’analisi di una visual identity alla stesura di caption e testi di ogni sorta.
Ma dicevamo… Ah già, i due ragazzi della consulenza. Vedi, sono partita da loro perché è con loro che il naming è entrato, per la prima volta, nella mia vita. E ci è arrivato diretto e fulmineo con una richiesta che suonò, più o meno, così: “dobbiamo dare un nome ai nostri vini, un rosso e un bianco”.
Diamine. E chi lo aveva mai fatto un lavoro del genere? Eppure ero lì per dare delle risposte. Ed ero pure l’unica perché in agenzia, in mezzo alle menti dell’arte visiva, “quella delle parole” ero io.


Cominciava così la mia avventura alle prese con uno dei lavori più belli al mondo, il naming. E appunto, la mia di avventura. Perché, in verità, non esiste una sola strada che ti porta, a un certo punto, a dover creare un nome commerciale; a indossare la divisa da name writer con tutte le sfide del caso.
Quindi, quello che farò, adesso, è raccontarti la mia esperienza; come ci sono arrivata ad amare questo lavoro incredibile; come sono arrivata a farlo con la stessa gioia di una bambina che ha vinto un mega peluche al Luna park e una carrellata di caramelle alla frutta. Te l’immagini, sì? Quella sono io quando mi commissionano un brand naming. Sai che scena!
Prima confessione: un nome non si inventa, si progetta
Beh, non era certamente una cosa che mi era chiarissima, al mio primo naming. Avevo una forma mentis orientata all’analisi e al pensiero associativo, quello sì. Ma di progettare un naming no, non ne sapevo ancora abbastanza. E in certi momenti, credimi, avrei preferito evaporare che trovare quei nomi. Perché se non lo sapessi già, lavorare a un naming è complesso. E non userò con te mezzi termini: il naming è un lavoro estremamente delicato e come tale va trattato.
Ecco perché parlo di progettazione del nome. Perché un nome che ha obiettivi di vendita, non te lo inventi da un giorno all’altro. L’idea che tu possa avere il colpo di genio mentre stai salando la pasta o alle prime luci dell’alba dopo che “ci hai dormito su”, somiglia a una delle più belle favole dei fratelli Grimm. Perché la verità è che ci vuole strategia (e a proposito, se devi partire dalla tua strategia digitale, scopri i servizi di #lofacciodigital).
Il senso del progettare
Ma quindi cosa significa progettare un nome? Significa, innanzitutto, studiare. Analizzare a fondo il brand, il prodotto o servizio su cui devi lavorare, passando per questi tre livelli:
- Il marketing: per sviscerare il posizionamento del brand.
- La componente linguistica: che fai entrare in gioco in fase creativa, con tutto il suo corredo di elementi fonetici e semantici.
- Gli aspetti legali: per registrare e proteggere il marchio.

Tanta roba, eh. Forse più di quanto potessi immaginare, perché poi ognuno di questi punti si apre come le ali raggianti di un pavone. E ogni suo colore rappresenta una sfida per il tuo nome:
- Intercettare il giusto pubblico.
- Farlo dialogare totalmente con i valori e il tono di voce del brand.
- Avere la certezza che suoni bene come la più pazzesca delle orchestre sinfoniche.
- Assicurarti che sia davvero unico, distintivo, memorabile.
- Verificare che non ci siano nomi uguali o simili al tuo.
Non è esattamente una passeggiata, diciamocelo. Ti invito a immaginare il naming, piuttosto, come la scalata di una vetta. Tutto intorno il panorama è mozzafiato e il percorso ti piacerà tantissimo. Ma avrai bisogno di una super imbracatura per non rischiare di cadere giù. E nel naming, l’imbracatura e gli attrezzi per salire sono: la tua conoscenza, il metodo e gli strumenti di ricerca che ti supportano nella fase creativa. Ah, dimenticavo! Anche una giogaia di pazienza (per restare in tema “paesaggi montani”). E ricorda, mentre quest’ultima puoi procacciartela da te, il metodo lo acquisisci studiando e con una buona dose di esperienza. Non per nulla ci ho fatto un corso, sul naming, per Content University, dove insegno a progettare nomi che funzionano. Che funzionano per davvero.
Seconda confessione: la curiosità è alleata del naming
Ci sono tante cose che servono per cimentarti nel ruolo di name writer, seriamente. Ma ho imparato, a mie spese, che c’è una cosa che nessun libro o corso sul naming può darti se non ti parte da dentro, dalla parte più profonda del cuore. Questa cosa si chiama curiosità. Una parola che amo, metaforicamente, parafrasare con “sete di sapere”.
E sai perché è importante? Perché più ampio è il tuo bagaglio di conoscenze – alimentate, per l’appunto, dalla tua curiosità – più facile sarà per te sviluppare un pensiero associativo che viaggia per analogie. Un pensiero attivo che ti permetta di collegare l’identità di quel brand, prodotto o servizio, con quante più parole possibili, attinenti alla sua sfera semantica.
Quindi, ora chieditelo: ho scorte abbondanti di curiosità per aiutare il mio progetto di brand naming? Se la risposta è sì, conta fino a tre, respira e comincia a scalare la vetta. Se la risposta è no, hai due possibilità:
- fare amicizia con quella matta voglia di conoscere gli infiniti tesori del mondo;
- passare la palla e delegare. Amen.
Terza confessione: fuori dall’Ufficio Marchi non c’è salvezza
Essere name writer non significa soltanto immergersi in fiumi di analisi, cimentarsi in insoliti giochi di parole e pregare che al cliente il nome ideato piaccia da morire. Eh no. In tutta questa storia, il giudice supremo non è il cliente e non sei nemmeno tu. È l’Ufficio Marchi. Quel magico posto dove sofisticati algoritmi di ricerca mettono sotto sopra i database dei marchi registrati, per dirti con la massima certezza se il tuo nome è fuori pericolo o meno. Fuori che? La faccio semplice: lontano da minacce come nomi uguali o simili nella stessa categoria merceologica del tuo brand.
Sarà, dunque, il tuo o la tua consulente legale a decretare la “salvezza” del nome o dei nomi che hai progettato. Fuori da lì, non c’è salvezza assicurata.
E questa, probabilmente, è stata la scoperta più incredibile nel mio percorso di crescita come naming specialist: sapere che non bastano le indagini sui motori di ricerca, i domini e i social media.
C’è molto di più dietro un progetto di brand naming. Ci sono giorni e giorni di fatiche, di fogli accartocciati dall’insoddisfazione, di tagli compulsivi di penna su nomi wow ma che, caspita, sono già occupati. Ci sono mani sui capelli, sbuffi da “mando tutto all’aria” e un po’ di zuccheri salvavita sparsi sulla scrivania… Che in quei giorni lì, i chili in più da stress indotto sono assicurati. Ma che cattivo che è, questo naming.

Diventa name writer se hai il cuore grande come una miniera d’oro
Voglio arrivare alla conclusione di questo lungo monologo di confessioni, dicendoti che il naming sarà anche un lavoro sfidante, ma non conosco mestieri davvero entusiasmanti che non siano anche tosti.
In questi anni ho progettato tanti brand name, più di quelli che mi aspettassi. Ma mai e poi mai avrei immaginato di trovarmi dove sono adesso: con la voglia matta di occuparmi di naming più di quanto non faccia già. E per arrivare a questa consapevolezza, ho dovuto faticare parecchio e fare tanto, tanto spazio nel mio cuore. E sai perché? Perché il mondo dei nomi di marca è vasto, troppo vasto per entrare nell’animo di chi non ha la pazienza e il coraggio di accoglierne la complessità.
Dunque, a te che mi stai leggendo; a te che stai cercando un nome per il tuo brand o per quello dei tuoi clienti e vuoi capire come trovarlo; a te che affascina dare un nome alle cose e hai avuto voglia di leggermi sin qui, dico: per fare un albero, ci vuole un seme, ma per fare un naming ci vuole un cuore grande come una miniera d’oro.
E tu, che ne pensi?